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viaggiodellamemoria01I giorni 15, 16, 17 aprile 2019 la nostra scuola ha partecipato al progetto della regione Lazio il viaggio della memoria. In questa occasione é stata offerta a tre ragazze delle V liceo Faraoni K., Meconi C.eTotaroV. , accompagnate dalla prof.ssa Burrini I., di partecipare al viaggio ad Auschwitz e Birchenau e Cracovia in compagnia dei sopravvissuti Samuel Modiano e le sorelle Andra e Tatiana Bucci nonché da storici di alto livello come il Prof.Gentiloni e il Prof. Pezzetti, che hanno aiutato i ragazzi nelle ricostruzioni storiche.

Esperienza irripetibile, carica di emozioni e sofferenza che le ragazze hanno condiviso con i loro compagni di viaggio prima, e poi con le loro classi in un incontro/dibattito.

É importante sottolineare che tutto ciò fa parte del progetto memoria nato, nella nostra scuola, dalla collaborazione tra la prof.ssa Burrini e la prof.ssa Fedrizzi.

È passata già una settimana dalla nostra visita di Cracovia e del campo di lavoro e di sterminio di Birkenau e Auschwitz, ed è da una settimana che passo le giornate a leggere documenti, libri, vedere film e documentari per cercare di capire come una tale follia sia potuta diventare realtà.

Il viaggio è stato molto interessante, pieno di “avventure” e di scoperte.

Cracovia è una bella città, magnifiche costruzioni, l’università, il museo, il castello e le costruzioni medievali che ben si incastrano nel verde della città.

Tra tutto il colore, il verde, l’azzurro delle giornate c’era qualcosa di meno colorato, avvolto in un tetro silenzio e in colori poco vividi c’era il ghetto ebraico, di cui oggi rimane ben poco, solo immagini e qualche scritta sui muri che ricordano persone ed uccisioni.

Il silenzio si ritrova anche nelle costruzioni di Auschwitz e Birkenau, gelido silenzio di costruzioni perfette e precise dove niente era lasciato al caso.

Palazzi rossi, un piccolo villaggio ma solo all’apparenza

Entrando in quei campi nessuno può immaginare cosa sì fosse consumato in quei “villaggi”, come quei palazzi fossero in realtà prigioni e stanze della morte

Mentre camminavo all’interno del campo mi ha invaso un senso di vuoto e di colpa, mi sentivo in colpa per chi sapeva e non ha fatto niente, chi ha voltato le spalle a quegli uomini che come noi vivevano tranquillamente la loro vita.

Sogni, progetti, speranze tutto distrutto, tutto inghiottito da uomini che volevano solo potere e soldi

Dalla judenrampe alla baracca destinata ai bambini siamo stati accompagnati dai “racconti” e dai ricordi dei sopravvissuti, dalle bambine Andra e Tati e da Sami, dalle coordinate storiche del professore Pezzetti.

Il professor Pezzetti è stato molto esaustivo nel raccontare la mentalità tedesca e quella ebraica, nel ricostruire a parole il ghetto alimentando la nostra mente di immagini e nozioni; ha aiutato tramite domande i sopravvissuti e specialmente le sorelline a ricostruire momenti e immagini

Ma ciò che forse ha colpito duramente i nostri cuori stringendoli in una morsa che è stato difficile sciogliere sono stati i racconti di chi in quell’infermo ha veramente vissuto

Andra e Tati erano bambine all’epoca dei fatti e ricordavano poco, pochi frammenti di immagini, per loro che avevano vissuto quella realtà per dieci mesi tutto era diventato normale.

Adesso sono due donne, di circa 70 anni ciascuna, con i capelli bianchi e quando parlano del loro trascorso ad Aushwitz i loro ricordi si intrecciano e si completano a vicenda, una ricorda il giorno dell’arresto e l’altra la risiera di san Saba.

Giocavano e pensavano che quella fosse la sorte degli ebrei, di chi era “diverso” rispetto agli abitanti dell’reich.

Erano entrate nell’ottica secondo cui vivere, giocare circondate da cadaveri fosse qualcosa di normale, non avevano una concezione particolare della morte anzi per loro era l’unico modo per uscire dal campo e tornare alla vita, la vera vita che loro non ricordano neanche.

L’unica cosa che ricordano entrambe, un ricordo forte e potente che ha colpito anche me è la selezione di Sergio, il loro cuginetto.

Nel loro racconto non hanno mai detto niente di più riguardo a quel giorno ma traspariva il loro “sentirsi in colpa” per non aver potuto fare nulla per salvare il cuginetto; alla fine erano bambine cresciute un po’ troppo in fretta in un luogo dove la morte e la tortura era all’origine del giorno.

Anche per Sami le cose non sono andate diversamente, ma i suoi racconti erano più vividi, pieni di colore anche se di colore in queste situazioni è difficile parlarne.

I suoi ricordi sono pieni di rabbia, di lacrime e di rimorsi di ciò che non ha vissuto e di tutto ciò che ha perso.

Personalmente ho trovato il racconto del suo arrivo al campo molto commovente e molto triste, eravamo seduti sui binari, dove solo 70 anni prima avevano visto milioni di persone selezionati per la morte e migliaia di treni pieni di bambini, donne  e uomini con i loro sogni passarci sopra, e Sami ci ha raccontato della sua selezione, del padre che non voleva separarsi dalla figlia, di come fosse stato preso a botte senza esitazione, di come in pochi istanti venissero privati della propria identità e della propria vita.

Sono passati più di settant’anni ma il ricordo di ciò che è accaduto è ancora vivo nelle menti di chi è sopravvissuto.

Ho ancora impresse nella mia mente le parole, immerse nelle lacrime, di Sami l’ultima sera che abbiamo passato insieme, “non si può dimenticare, i miei occhi non possono dimenticare, se avete una spugna magica che può cancellare il passato vi prego di darmela”

Credo di aver lasciato molte lacrime su quel campo, in quella città, e non mi vergogno ad ammetterlo.

So anche di aver ricevuto molto altro, un qualcosa che farà parte di me, qualcosa che nel mio piccolo cercherò di trasmettere a chi conosco ovvero l’importanza e la consapevolezza del valore del ricordo e della memoria, degli ideali di uguaglianza e di libertà.

Come una catena, ciò che è stato visto da me, ciò che ho ascoltato e compreso, cercherò in ogni modo di passarlo agli altri per non dimenticare, per non ripetere e per essere persone migliori.

È passata già una settimana dalla nostra visita di Cracovia e del campo di lavoro e di sterminio di Birkenau e Auschwitz, ed è da una settimana che passo le giornate a leggere documenti, libri, vedere film e documentari per cercare di capire come una tale follia sia potuta diventare realtà.

Il viaggio è stato molto interessante, pieno di “avventure” e di scoperte.

Cracovia è una bella città, magnifiche costruzioni, l’università, il museo, il castello e le costruzioni medievali che ben si incastrano nel verde della città.

Tra tutto il colore, il verde, l’azzurro delle giornate c’era qualcosa di meno colorato, avvolto in un tetro silenzio e in colori poco vividi c’era il ghetto ebraico, di cui oggi rimane ben poco, solo immagini e qualche scritta sui muri che ricordano persone ed uccisioni.

Il silenzio si ritrova anche nelle costruzioni di Auschwitz e Birkenau, gelido silenzio di costruzioni perfette e precise dove niente era lasciato al caso.

Palazzi rossi, un piccolo villaggio ma solo all’apparenza

Entrando in quei campi nessuno può immaginare cosa sì fosse consumato in quei “villaggi”, come quei palazzi fossero in realtà prigioni e stanze della morte

Mentre camminavo all’interno del campo mi ha invaso un senso di vuoto e di colpa, mi sentivo in colpa per chi sapeva e non ha fatto niente, chi ha voltato le spalle a quegli uomini che come noi vivevano tranquillamente la loro vita.

Sogni, progetti, speranze tutto distrutto, tutto inghiottito da uomini che volevano solo potere e soldi

Dalla judenrampe alla baracca destinata ai bambini siamo stati accompagnati dai “racconti” e dai ricordi dei sopravvissuti, dalle bambine Andra e Tati e da Sami, dalle coordinate storiche del professore Pezzetti.

Il professor Pezzetti è stato molto esaustivo nel raccontare la mentalità tedesca e quella ebraica, nel ricostruire a parole il ghetto alimentando la nostra mente di immagini e nozioni; ha aiutato tramite domande i sopravvissuti e specialmente le sorelline a ricostruire momenti e immagini

Ma ciò che forse ha colpito duramente i nostri cuori stringendoli in una morsa che è stato difficile sciogliere sono stati i racconti di chi in quell’infermo ha veramente vissuto

Andra e Tati erano bambine all’epoca dei fatti e ricordavano poco, pochi frammenti di immagini, per loro che avevano vissuto quella realtà per dieci mesi tutto era diventato normale.

Adesso sono due donne, di circa 70 anni ciascuna, con i capelli bianchi e quando parlano del loro trascorso ad Aushwitz i loro ricordi si intrecciano e si completano a vicenda, una ricorda il giorno dell’arresto e l’altra la risiera di san Saba.

Giocavano e pensavano che quella fosse la sorte degli ebrei, di chi era “diverso” rispetto agli abitanti dell’reich.

Erano entrate nell’ottica secondo cui vivere, giocare circondate da cadaveri fosse qualcosa di normale, non avevano una concezione particolare della morte anzi per loro era l’unico modo per uscire dal campo e tornare alla vita, la vera vita che loro non ricordano neanche.

L’unica cosa che ricordano entrambe, un ricordo forte e potente che ha colpito anche me è la selezione di Sergio, il loro cuginetto.

Nel loro racconto non hanno mai detto niente di più riguardo a quel giorno ma traspariva il loro “sentirsi in colpa” per non aver potuto fare nulla per salvare il cuginetto; alla fine erano bambine cresciute un po’ troppo in fretta in un luogo dove la morte e la tortura era all’origine del giorno.

Anche per Sami le cose non sono andate diversamente, ma i suoi racconti erano più vividi, pieni di colore anche se di colore in queste situazioni è difficile parlarne.

I suoi ricordi sono pieni di rabbia, di lacrime e di rimorsi di ciò che non ha vissuto e di tutto ciò che ha perso.

Personalmente ho trovato il racconto del suo arrivo al campo molto commovente e molto triste, eravamo seduti sui binari, dove solo 70 anni prima avevano visto milioni di persone selezionati per la morte e migliaia di treni pieni di bambini, donne  e uomini con i loro sogni passarci sopra, e Sami ci ha raccontato della sua selezione, del padre che non voleva separarsi dalla figlia, di come fosse stato preso a botte senza esitazione, di come in pochi istanti venissero privati della propria identità e della propria vita.

Sono passati più di settant’anni ma il ricordo di ciò che è accaduto è ancora vivo nelle menti di chi è sopravvissuto.

Ho ancora impresse nella mia mente le parole, immerse nelle lacrime, di Sami l’ultima sera che abbiamo passato insieme, “non si può dimenticare, i miei occhi non possono dimenticare, se avete una spugna magica che può cancellare il passato vi prego di darmela”

Credo di aver lasciato molte lacrime su quel campo, in quella città, e non mi vergogno ad ammetterlo.

So anche di aver ricevuto molto altro, un qualcosa che farà parte di me, qualcosa che nel mio piccolo cercherò di trasmettere a chi conosco ovvero l’importanza e la consapevolezza del valore del ricordo e della memoria, degli ideali di uguaglianza e di libertà.

Come una catena, ciò che è stato visto da me, ciò che ho ascoltato e compreso, cercherò in ogni modo di passarlo agli altri per non dimenticare, per non ripetere e per essere persone migliori.

Quest’anno la Regione Lazio ha offerto la possibilità a più di 500 studenti di affrontare un viaggio difficile, ma sicuramente molto costruttivo sia a livello personale che a livello didattico. 
Ho avuto l’immensa fortuna di essere stata selezionata per partecipare al Viaggio della Memoria, un’esperienza grazie alla quale si può iniziare davvero a comprendere l’orrore che è stato la Shoah. Il viaggio in sè è stato decisamente interessante, e ci ha inoltre dato la possibilità di visitare la bellissima città di Cracovia, che presenta un aspetto decisamente particolare, soprattutto per quanto riguarda gli edifici. Questa città, però, oltre ad essere un magnifico esempio di storia e cultura europea, ha una bellissima atmosfera. Ciò che però, mi ha colpito
profondamente, lasciando un segno in me, è stata la giornata passata tra Auschwitz-Birkenau e Auschwitz I, il campo madre. L’atmosfera cupa, carica di morte, era a dir poco palpabile. Il poco che restava a Birkenau, tra cui le rovine di forni crematori e le baracche dove i deportati vivevano in condizioni a dir poco disumane, è stato, per me, fonte di grande angoscia, soprattutto le fosse comuni dove inizialmente venivano ammassati e bruciati i corpi, e un vagone, che testimonia la deportazione della comunità ebraica. Auschwitz I, invece, rappresentava ancor di più la strage compiuta dai nazisti, poiché, nei blocchi dove erano rinchiuse dalle 600 alle 1000 persone, erano stati istituiti dei musei. In uno dei blocchi, vi era una scena a dir poco raccapricciante, capace di far rimanere in silenzio chiunque: due tonnellate di capelli erano stati tagliati alle donne deportate e conservati, per porterne ricavare tappetti ed uniformi per i soldati nazisti. 
Questa visita ai campi è stata logorante, estremamente cruda e angosciante.
Ciò che ci ha reso veramente fortunati, è stata la presenza di chi,quest’orrore lo ha vissuto sulla propria pelle, e non potrà mai dimenticarlo. I sopravvissuti all’olocausto che ci hanno accompagnati durante il viaggio, sono stati Sami Modiano e Andra e Tatiana Bucci. Dai loro racconti traspariva una straziante sofferenza, sia per la perdita dei propri familiari che per le terribili esperienze subite. La fame, la sofferenza, vivere in condizioni disumane sono concetti che non vengono compresi pienamente se non sono trasmessi da chi li ha vissuti per davvero. 
Andra e Tati, che all’epoca erano bambine rispettivamente di 4 e 6 anni, hanno racconto la loro deportazione in modo diverso da come ha fatto Sami, d’altronde, erano solo delle bambine, costrette a pagare la follia altrui.
I racconti di Sami, invece, soprattutto durante le conferenze in hotel, erano vividi, estremamente dettagliati, commoventi.
È importante, ricordare e tramandare ciò che si è visto, ed ascoltato, affinché un orrore del genere non venga ripetuto mai più.

Che cos’è Auschwitz? Domanda decisamente complicata che richiede molto più di una semplice risposta. Non è possibile racchiudere in un termine tutto il dolore, la sofferenza e le torture che migliaia di persone hanno dovuto subire. Nei libri è definito un “inferno”, termine tra i più rappresentativi dei campi di concentramento ma non descrive a pieno le atrocità che hanno accompagnato il genocidio. È un cimitero per ogni essere umano transitato lì che non avrà mai una tomba. Ma più di ogni altra cosa Auschwitz è un male assoluto: non è una definizione precisa di male ma li raccoglie tutti. Questa è ancora una risposta vaga. Dalla storia apprendiamo gli avvenimenti del passato mentre la filosofia ci aiuta a comprenderne motivazioni e cause, ma solo e soltanto la memoria, le esperienze e i racconti dei sopravvissuti ci consentono di capire, quanto più la nostra empatia ci permette, l’angoscia e il tormento che quegli anni bui e duri hanno portato. Un chiaro esempio di tutto ciò sono i ricordi agghiaccianti di Pietro Terracina e Samuel Modiano. Sono soprattutto rabbia e compassione che emergono dalle loro testimonianze: racconti di padri che tentano di difendere i propri figli con conseguenze atroci;  le ultime parole scambiate con famigliari, parole di incoraggiamento, di conforto per quanto potessero servire in uno scenario del genere; la selezione delle persone ancora abili al lavoro e la morte immediata per gli scartati; le urla disperate di madri alle quali sono stati strappati i neonati dalle braccia protettive con una indifferenza sconvolgente; il tatuaggio e la rasatura forzata. Sami e Pietro raccontano un Auschwitz simile, visto da occhi di adolescenti, in grado di comprendere la crudele realtà nella quale erano stati catapultati senza un perché; l’Auschwitz delle sorelle Alessandra e Liliana Bucci è completamente diverso: ogni ricordo, ogni sensazione è filtrato con l’ingenuità che caratterizza l’animo delle bambine che hanno vissuto queste vicende, bambine che in pieno inverno giocavano a farsi la guerra con palle di neve tra i cadaveri, ignare del vero conflitto esistente al di là di quelle mura. Come si può condannare dei bambini innocenti, bambini senza passato, a quella vita? Quale colpa potevano mai avere tutte quelle persone per essere sradicati dalle loro vite, dai loro cari, dal conforto della propria casa e dover fare di quel inferno la nuova quotidianità? Per quel tempo la risposta era semplice: ogni essere umano arrestato e deportato era “colpevole” di essere di razza ebraica, una razza che neanche esiste.  Tra le migliaia di persone troviamo anche delle minoranze come gli omosessuali, i Rom e Sinti, Zingari oppure i prigionieri politici, ognuno identificato con un contrassegno colorato che variava a seconda del “crimine”. Perciò Auschwitz richiama alla mente ciò che è stato, qualcosa che non sarebbe mai dovuto avvenire, che non andrebbe neanche pensato; è un tassello fondamentale della nostra storia, è prova di cosa la nostra crudeltà e indifferenza possono portarci a fare e ci ricorda che non ci sono razze superiori o inferiori, ma che non esistono proprio. La memoria fa sì che  le 6 milioni di persone non sono morte in vano ma le tiene vive nei ricordi, con la speranza che la linea che è stata oltrepassata con questo genocidio non si valichi mai più.

20190305 123423 FILEminimizerDal 2 all’8 marzo, sei alunni del corso liceo SSA si sono recati in Romania, prendendo parte al progetto Erasmus+ “Lifelong Maths” coordinato dalla scuola turca Abdulkerim Bengi Anodolu Liseni.

Gli studenti hanno avuto modo di rapportarsi con altri studenti stranieri, provenienti dalla Macedonia, da Cipro, dalla Turchia e dalla Romania stessa. Lo scopo del progetto era quello di misurare le proprie conoscenze matematiche, inoltre hanno potuto partecipare a una interessante lezione di sperimentazione (modelling), utilizzando strumenti all’avanguardia (come le app Desmos e Photomath) per verificare la funzione alla base del fenomeno fisico del Bungee Jumping, permettendo anche un momento di scambio sociale tra gli studenti. Le attività si sono svolte nella mattina dei primi due giorni, nel liceo pedagogico Mircea Scarlat, dove gli studenti sono stati accolti dal coro scolastico, della piccola città di Alexandria, dove hanno alloggiato per la prima parte del progetto.

Anche quest’anno, nell’ambito del progetto di alternanza scuola lavoro, é stato realizzato il progetto dell’impresa simulata che ha visto protagonista il laboratorio di chimica del nostro istituto ma soprattutto i nostri ragazzi delle terze liceo. In seno al progetto, sono stati realizzati dai ragazzi , sotto la supervisione di docenti specializzati, saponi naturali di diversa varietà.

In realtà il progetto, di prospettiva più ampia, ha permesso ai ragazzi oltre alla realizzazione di saponi anche lo studio del prodotto dal punto di vista del marketing e il lancio di questi, attraverso la costruzione di blog finalizzati alla pubblicizzazione e alla dimostrazione del lavoro effettivamente svolto.

I nostri BLOG (Link esterni):

https://saponetteonline.blogspot.com/?m=1

https://soapbloag3cl.blogspot.com/?m=1

https://3alsaponette.blogspot.com/?m=1