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È passata già una settimana dalla nostra visita di Cracovia e del campo di lavoro e di sterminio di Birkenau e Auschwitz, ed è da una settimana che passo le giornate a leggere documenti, libri, vedere film e documentari per cercare di capire come una tale follia sia potuta diventare realtà.

Il viaggio è stato molto interessante, pieno di “avventure” e di scoperte.

Cracovia è una bella città, magnifiche costruzioni, l’università, il museo, il castello e le costruzioni medievali che ben si incastrano nel verde della città.

Tra tutto il colore, il verde, l’azzurro delle giornate c’era qualcosa di meno colorato, avvolto in un tetro silenzio e in colori poco vividi c’era il ghetto ebraico, di cui oggi rimane ben poco, solo immagini e qualche scritta sui muri che ricordano persone ed uccisioni.

Il silenzio si ritrova anche nelle costruzioni di Auschwitz e Birkenau, gelido silenzio di costruzioni perfette e precise dove niente era lasciato al caso.

Palazzi rossi, un piccolo villaggio ma solo all’apparenza

Entrando in quei campi nessuno può immaginare cosa sì fosse consumato in quei “villaggi”, come quei palazzi fossero in realtà prigioni e stanze della morte

Mentre camminavo all’interno del campo mi ha invaso un senso di vuoto e di colpa, mi sentivo in colpa per chi sapeva e non ha fatto niente, chi ha voltato le spalle a quegli uomini che come noi vivevano tranquillamente la loro vita.

Sogni, progetti, speranze tutto distrutto, tutto inghiottito da uomini che volevano solo potere e soldi

Dalla judenrampe alla baracca destinata ai bambini siamo stati accompagnati dai “racconti” e dai ricordi dei sopravvissuti, dalle bambine Andra e Tati e da Sami, dalle coordinate storiche del professore Pezzetti.

Il professor Pezzetti è stato molto esaustivo nel raccontare la mentalità tedesca e quella ebraica, nel ricostruire a parole il ghetto alimentando la nostra mente di immagini e nozioni; ha aiutato tramite domande i sopravvissuti e specialmente le sorelline a ricostruire momenti e immagini

Ma ciò che forse ha colpito duramente i nostri cuori stringendoli in una morsa che è stato difficile sciogliere sono stati i racconti di chi in quell’infermo ha veramente vissuto

Andra e Tati erano bambine all’epoca dei fatti e ricordavano poco, pochi frammenti di immagini, per loro che avevano vissuto quella realtà per dieci mesi tutto era diventato normale.

Adesso sono due donne, di circa 70 anni ciascuna, con i capelli bianchi e quando parlano del loro trascorso ad Aushwitz i loro ricordi si intrecciano e si completano a vicenda, una ricorda il giorno dell’arresto e l’altra la risiera di san Saba.

Giocavano e pensavano che quella fosse la sorte degli ebrei, di chi era “diverso” rispetto agli abitanti dell’reich.

Erano entrate nell’ottica secondo cui vivere, giocare circondate da cadaveri fosse qualcosa di normale, non avevano una concezione particolare della morte anzi per loro era l’unico modo per uscire dal campo e tornare alla vita, la vera vita che loro non ricordano neanche.

L’unica cosa che ricordano entrambe, un ricordo forte e potente che ha colpito anche me è la selezione di Sergio, il loro cuginetto.

Nel loro racconto non hanno mai detto niente di più riguardo a quel giorno ma traspariva il loro “sentirsi in colpa” per non aver potuto fare nulla per salvare il cuginetto; alla fine erano bambine cresciute un po’ troppo in fretta in un luogo dove la morte e la tortura era all’origine del giorno.

Anche per Sami le cose non sono andate diversamente, ma i suoi racconti erano più vividi, pieni di colore anche se di colore in queste situazioni è difficile parlarne.

I suoi ricordi sono pieni di rabbia, di lacrime e di rimorsi di ciò che non ha vissuto e di tutto ciò che ha perso.

Personalmente ho trovato il racconto del suo arrivo al campo molto commovente e molto triste, eravamo seduti sui binari, dove solo 70 anni prima avevano visto milioni di persone selezionati per la morte e migliaia di treni pieni di bambini, donne  e uomini con i loro sogni passarci sopra, e Sami ci ha raccontato della sua selezione, del padre che non voleva separarsi dalla figlia, di come fosse stato preso a botte senza esitazione, di come in pochi istanti venissero privati della propria identità e della propria vita.

Sono passati più di settant’anni ma il ricordo di ciò che è accaduto è ancora vivo nelle menti di chi è sopravvissuto.

Ho ancora impresse nella mia mente le parole, immerse nelle lacrime, di Sami l’ultima sera che abbiamo passato insieme, “non si può dimenticare, i miei occhi non possono dimenticare, se avete una spugna magica che può cancellare il passato vi prego di darmela”

Credo di aver lasciato molte lacrime su quel campo, in quella città, e non mi vergogno ad ammetterlo.

So anche di aver ricevuto molto altro, un qualcosa che farà parte di me, qualcosa che nel mio piccolo cercherò di trasmettere a chi conosco ovvero l’importanza e la consapevolezza del valore del ricordo e della memoria, degli ideali di uguaglianza e di libertà.

Come una catena, ciò che è stato visto da me, ciò che ho ascoltato e compreso, cercherò in ogni modo di passarlo agli altri per non dimenticare, per non ripetere e per essere persone migliori.

È passata già una settimana dalla nostra visita di Cracovia e del campo di lavoro e di sterminio di Birkenau e Auschwitz, ed è da una settimana che passo le giornate a leggere documenti, libri, vedere film e documentari per cercare di capire come una tale follia sia potuta diventare realtà.

Il viaggio è stato molto interessante, pieno di “avventure” e di scoperte.

Cracovia è una bella città, magnifiche costruzioni, l’università, il museo, il castello e le costruzioni medievali che ben si incastrano nel verde della città.

Tra tutto il colore, il verde, l’azzurro delle giornate c’era qualcosa di meno colorato, avvolto in un tetro silenzio e in colori poco vividi c’era il ghetto ebraico, di cui oggi rimane ben poco, solo immagini e qualche scritta sui muri che ricordano persone ed uccisioni.

Il silenzio si ritrova anche nelle costruzioni di Auschwitz e Birkenau, gelido silenzio di costruzioni perfette e precise dove niente era lasciato al caso.

Palazzi rossi, un piccolo villaggio ma solo all’apparenza

Entrando in quei campi nessuno può immaginare cosa sì fosse consumato in quei “villaggi”, come quei palazzi fossero in realtà prigioni e stanze della morte

Mentre camminavo all’interno del campo mi ha invaso un senso di vuoto e di colpa, mi sentivo in colpa per chi sapeva e non ha fatto niente, chi ha voltato le spalle a quegli uomini che come noi vivevano tranquillamente la loro vita.

Sogni, progetti, speranze tutto distrutto, tutto inghiottito da uomini che volevano solo potere e soldi

Dalla judenrampe alla baracca destinata ai bambini siamo stati accompagnati dai “racconti” e dai ricordi dei sopravvissuti, dalle bambine Andra e Tati e da Sami, dalle coordinate storiche del professore Pezzetti.

Il professor Pezzetti è stato molto esaustivo nel raccontare la mentalità tedesca e quella ebraica, nel ricostruire a parole il ghetto alimentando la nostra mente di immagini e nozioni; ha aiutato tramite domande i sopravvissuti e specialmente le sorelline a ricostruire momenti e immagini

Ma ciò che forse ha colpito duramente i nostri cuori stringendoli in una morsa che è stato difficile sciogliere sono stati i racconti di chi in quell’infermo ha veramente vissuto

Andra e Tati erano bambine all’epoca dei fatti e ricordavano poco, pochi frammenti di immagini, per loro che avevano vissuto quella realtà per dieci mesi tutto era diventato normale.

Adesso sono due donne, di circa 70 anni ciascuna, con i capelli bianchi e quando parlano del loro trascorso ad Aushwitz i loro ricordi si intrecciano e si completano a vicenda, una ricorda il giorno dell’arresto e l’altra la risiera di san Saba.

Giocavano e pensavano che quella fosse la sorte degli ebrei, di chi era “diverso” rispetto agli abitanti dell’reich.

Erano entrate nell’ottica secondo cui vivere, giocare circondate da cadaveri fosse qualcosa di normale, non avevano una concezione particolare della morte anzi per loro era l’unico modo per uscire dal campo e tornare alla vita, la vera vita che loro non ricordano neanche.

L’unica cosa che ricordano entrambe, un ricordo forte e potente che ha colpito anche me è la selezione di Sergio, il loro cuginetto.

Nel loro racconto non hanno mai detto niente di più riguardo a quel giorno ma traspariva il loro “sentirsi in colpa” per non aver potuto fare nulla per salvare il cuginetto; alla fine erano bambine cresciute un po’ troppo in fretta in un luogo dove la morte e la tortura era all’origine del giorno.

Anche per Sami le cose non sono andate diversamente, ma i suoi racconti erano più vividi, pieni di colore anche se di colore in queste situazioni è difficile parlarne.

I suoi ricordi sono pieni di rabbia, di lacrime e di rimorsi di ciò che non ha vissuto e di tutto ciò che ha perso.

Personalmente ho trovato il racconto del suo arrivo al campo molto commovente e molto triste, eravamo seduti sui binari, dove solo 70 anni prima avevano visto milioni di persone selezionati per la morte e migliaia di treni pieni di bambini, donne  e uomini con i loro sogni passarci sopra, e Sami ci ha raccontato della sua selezione, del padre che non voleva separarsi dalla figlia, di come fosse stato preso a botte senza esitazione, di come in pochi istanti venissero privati della propria identità e della propria vita.

Sono passati più di settant’anni ma il ricordo di ciò che è accaduto è ancora vivo nelle menti di chi è sopravvissuto.

Ho ancora impresse nella mia mente le parole, immerse nelle lacrime, di Sami l’ultima sera che abbiamo passato insieme, “non si può dimenticare, i miei occhi non possono dimenticare, se avete una spugna magica che può cancellare il passato vi prego di darmela”

Credo di aver lasciato molte lacrime su quel campo, in quella città, e non mi vergogno ad ammetterlo.

So anche di aver ricevuto molto altro, un qualcosa che farà parte di me, qualcosa che nel mio piccolo cercherò di trasmettere a chi conosco ovvero l’importanza e la consapevolezza del valore del ricordo e della memoria, degli ideali di uguaglianza e di libertà.

Come una catena, ciò che è stato visto da me, ciò che ho ascoltato e compreso, cercherò in ogni modo di passarlo agli altri per non dimenticare, per non ripetere e per essere persone migliori.